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GIUSTIZIA MILITARE: Parla il Presidente VERRONE

data 08/04/2025

PER UNA MIGLIORE GESTIONE OCCORRE UNA RAPIDA RIFORMA DEL SETTORE

NAPOLI (REPORT DIFESA) - Da tempo è invalsa l’abitudine di chiamarli “giudici con le stellette”. Ma i magistrati militari, operanti in sei Uffici giudiziari di primo grado (Tribunale e Procura Militare di Napoli, Roma e Verona), due di secondo grado (Corte Militare e Procura Generale Militare in appello), uno di legittimità (Procura Generale Militare in Cassazione), oltre che nel Tribunale Militare di Sorveglianza, tutti con sede in Roma, hanno natura e compiti ben diversi da quelli evocati da un’etichetta così stereotipata e stantia.

Il punto è che quest’ultima è stata coniata in epoca lontana, ben prima delle leggi n. 180/1981 (di modifica dell’ordinamento giudiziario militare) e 561/1988 (istitutiva del Consiglio della Magistratura Militare), che hanno pienamente assimilato la Giustizia Militare alle altre Magistrature del tempo (ordinaria, amministrativa e contabile) e alla Magistratura tributaria di recente costituzione.

I magistrati militari, infatti, non solo sono civili reclutati per concorso.

Allo stato riservato ai magistrati ordinari o, in seconda battuta, aperto ai laureati in giurisprudenza. Essi assumono la direzione e costituiscono la maggioranza nei collegi giudicanti, dove sono affiancati da ufficiali in carica per un bimestre, di modo che la decisione presa in comune sia basata sulla piena conoscenza dell’organizzazione militare; ma soprattutto concorrono a garantire la giustizia nelle Forze Armate e in corpi affini.

Funzione non solo complessa per la eterogeneità di tutti questi corpi (in particolare: Esercito, Marina, Aeronautica, Carabinieri e Guardia di Finanza), ma soprattutto delicatissima, perché la giustizia di ogni organizzazione pubblica è un campo di forze da conservare in equilibrio, per la legalità (rispetto delle norme prestabilite, a cominciare da quelle costituzionali e sovranazionali sui diritti fondamentali spettanti anche ai militari) e l’efficienza (effettiva funzionalità alla difesa della Patria che l’art. 52 della Costituzione. affida anche ad ogni cittadino).

Per conoscere dei più su quello che accade nelle aule giudiziarie militari, Report Difesa ha intervistato Filippo Verrone, presidente del Tribunale Militare di Napoli e neo presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Militari.

Il Tribunale Militare di Napoli è l’unico organo della Magistratura Militare ad avere un Ufficio Comunicazione (legge 150 del 2000).

Il Dottor Verrone è entrato in Magistratura nel 1982 dove ha ricoperto importanti incarichi sia nella magistratura inquirente che giudicante.

È stato dapprima Sostituto, poi GIP e GUP, fino a divenire, nel 2000, Procuratore Militare a Napoli.

Nel 2012 ha ottenuto la nomina a Giudice della Commissione Tributaria Regionale della Campania e nel 2015 a presidente del Tribunale Militare di Roma.

Presidente Verrone, com’è cambiata la Magistratura militare dai tempi del servizio di leva ad oggi. C’è stato anche un cambio dei reati che prima erano commessi rispetto a quelli di oggi?

Chiaramente si. I reati che erano legati all’obbligo del servizio di leva non ci sono più, come la diserzione. Ma ce ne sono degli altri.

La nostra attività è numericamente inferiore rispetto al passato. Oggi è divento un lavoro numericamente inferiore come numero di reati ma qualitativamente molto più complesso sia per la tipologia degli illeciti commessi sia per tutti gli altri aspetti, anche non penali, di un’indagine di una condanna, trattandosi di pubblici dipendenti. Tutto va vagliato attentamente perché è in gioco anche il lavoro e la progressione di carriera del militare.

Per questo motivo c’è stato un recente intervento normativo: la non sospensione dal lavoro del militare se non dalla sentenza di condanna in primo grado.

Proprio perché il processo penale per un militare è una cosa che segna!

E quindi da qui nasce, a mio avviso, la necessità di una giurisdizione speciale che non solo conosca i meccanismi di questa particolare attività, ma soprattutto che arrivi a una decisione in tempi ragionevoli.

Oggi, quanto dura una causa dal primo all’ultimo grado di giudizio?

I gradi sono uguali alla giurisdizione ordinaria. E’ anche possibile un ricorso per Cassazione. La durata di un procedimento in media dura un paio di anni, dal primo grado all’appello.

Vengono applicati anche i riti alternativi, quelli brevi. Un processo normale, con un dibattimento dura di regola meno di due anni.

Invece le indagini in media quanto durano? 

Dipende dal reato, dall’indagato e dalle circostanze. Se c’è una flagranza di reato tutto prosegue normalmente. Comunque il limite di legge è un anno.

La difficoltà sta nella vastità della giurisdizione con competenza su tutta l’Italia meridionale e sulla Sicilia. E questo incide chiaramente su un procedimento.

Per quanto riguarda magari un interrogatorio, qualcuno chiede se si possa fare da remoto. Ma è una modalità usata per lo più per il personale all’estero. Vanno in Ambasciata o al Consolato e si collegano online.  Per un avvocato difensore invece, comprensibilmente, è molto più importante un rapporto diretto con il Giudice.

Quali sono i principali reati che vengono giudicati?

In primis i reati contro il patrimonio. Truffa e peculato figurano tra i principali. Abbiamo anche giudicato reati di sangue non gravissimi.

Presidente quando un militare viene degradato?

Con la condanna definitiva per i reati più gravi. Per certi reati c’è una pena sospesa a meno che non ci sia la condizionale. La degradazione toglie tutti gradi. Si ritorna un militare semplice.

E invece la rimozione? 

Con la rimozione dal grado, un militare viene appunto rimosso dal quel grado e poi potrebbe ricominciare dallo stesso. Una sorta di gioco dell’oca!

Qual é dunque lo specifico contributo che la Giustizia militare fornisce attualmente e potrebbe fornire in futuro alla conservazione di questo decisivo equilibrio?

Per rispondere alla domanda bisogna addentrarsi ulteriormente nel relativo territorio e distinguere tra tempo di pace e tempo di guerra.

Così, nel primo contesto, conformemente all’art. 103, comma 3, II parte della Costituzione, il Codice penale militare di pace del 1941 (CPMP) attribuisce alle Corti militari, giurisdizione sui reati militari commessi da appartenenti alle Forze Armate.

Di questi, alcuni corrispondono a reati già previsti dal codice penale comune e si contraddistinguono per aspetti riflettenti la “militarità” degli interessi offesi (omicidio dell’inferiore o del superiore per motivi di servizio, peculato, truffa ecc.), altri, invece, sono esclusivi della vita militare, perché incidono soltanto su interessi marziali (disobbedienza, violata consegna, diserzione e così via).

Sennonché, siffatta organizzazione è razionale solo in apparenza, mentre in realtà sconta numerose incongruenze, alle quali i magistrati militari chiedono da tempo di porre rimedio attraverso un adeguato intervento legislativo.

Veniamo così al contributo che essi potrebbero dare alla giustizia nelle Forze Armate, se andasse in porto uno dei progetti di riforma presentati in questi ultimi anni.

Innanzitutto, non è ragionevole che fatti che offendono principalmente o, addirittura, esclusivamente interessi militari restino assegnati alla Giustizia ordinaria e sottratti a quella militare, che è il loro giudice naturale secondo i dettami dell’art. 25, comma 1, della Costituzione (come ad esempio:  concussione, corruzione o violenza sessuale commessi con abuso dei poteri o violazione dei doveri militari).

In secondo luogo, non è ragionevole che fatti integranti un reato militare, sol perché connessi con reati comuni più gravi ma strumentali, siano trasferiti alla Giurisdizione ordinaria, dunque sottratti a quella militare, in base all’art. 13, comma 2, Codice di procedura penale  (come ad esempio: truffa militare commessa mediante falso in atto pubblico).

Infine, non è ragionevole, quando in quest’ultima ipotesi il reato militare sia più grave di quello comune, che il primo sia giudicato dal giudice militare e il secondo da quello ordinario, dato che in tal caso si ha duplicazione di processi, forieri di costi per il pubblico e per il privato, nonostante la sostanziale unitarietà della relativa vicenda (es.: omicidio dell’inferiore commesso per cause di servizio e dopo essersi introdotto abusivamente nel domicilio della vittima). D’altro canto, in tempo di guerra, la situazione è ancora più complessa e delicata.

Premesso che qui la Costituzione rimette alla legge la determinazione della Giurisdizione militare (art. 103, comma 3, I parte), la normativa vigente, ossia il Codice penale militare di guerra (CPMG), anch’esso risalente al 1941, sconta a maggior ragione la sua età e matrice politica.

In esso sono confluite le disposizioni contenute nella legge del 7 maggio 1981 numero 180 (Modifiche all’ordinamento giudiziario militare di pace) e legge 30 dicembre 1988 numero 561 (Istituzione del Consiglio della Magistratura Militare), oltre a quelle del DPR di attuazione del 24 marzo 1989 numero 158, nonché le modifiche, nella struttura e nelle competenze territoriali degli organi giudiziari requirenti e giudicanti, oltre che nella composizione dell’organo di autogoverno, introdotte con la legge del 24 diicembre 2007 numero 223 particolarmente profonde nell’assetto dell’epoca.

I Tribunali e le Procure Militari sono stati ridotti da 9 a 3.

La struttura giudiziaria di Verona ha assunto la competenza territoriale per Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia-Trentino-Altro Adige, Veneto, Friuli Venezia-Giulia, Emilia-Romagna.

Il Tribunale Militare e la Procura Militare di Roma hanno assunto la competenza territoriale per Toscana, Umbria, Marche, Lazio, Abruzzo e Sardegna.

Il Tribunale Militare e la Procura Militare di Napoli hanno competenza su Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria e Sicilia.

Sono stati soppressi i Tribunali Militari e le Procure della Repubblica di Torino, La Spezia, Padova, Cagliare, Bari e Palermo.

Inoltre, sono state soppresse le sezioni distaccate di Verona e di Napoli della Corte Militare d’Appello e i relativi uffici della Procura generale militare della Repubblica.

Sempre alla Giustizia Militare il decreto legislativo numero 66 del 2010 dedica gli articoli dal 52 all’86 che sono contenuti nel Capo VI del Libro I (suddiviso nelle sezioni dedicate all’Ordinamento Giudiziario Militare, al Consiglio della Magistratura Militare, alla Disciplina del concorso in Magistratura militare e l’Ordinamento Penitenziario Militare.

A questi va aggiungo l’articolo 2121 “Modifiche al Regio Decreto 20 febbraio 1941 numero 303 –         Codice Penale Militare di Pace – con il quale sono stati sostituiti gli articoli 272 dello stesso Codice (Reati commessi all’estero) e dell’articolo 409 (Tribunale e Ufficio militare di Sorveglianza) e inseriti negli articoli 621-tee del Codice (ricordo per Cassazione) e 262 – quater (Giudizio davanti alla Corte militare di Appello).

Lei recentemente ha incontrato il ministro della Difesa Guido Crosetto?

Sono rimasto molto soddisfatto dell’incontro avuto e soprattutto della sincera e determinata disponibilità del ministro a portare avanti le riforme in corso con particolare riferimento alla costituzione di un Ufficio presso il Gabinetto deputato all’organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia militare secondo quanto disposto dall’ultima parte dell’art. 110 della Carta Costituzionale.

L’occasione è stata propizia per valutare un’eventuale rideterminazione razionale dei precisi confini della giurisdizione militare troppo spesso erosa a favore della giurisdizione ordinaria anche per fatti riguardanti esclusivamente il mondo militare.

Ho avuto la percezione che il ministro Crosetto passerà alla storia come colui che, finalmente, avrà restituito dignità ed efficienza alla giurisdizione militare.